Tu sei qui

Video Prova Ducati Diavel V4: il power-cruiser che si crede maxi-naked

Nome in codice “Mega Monster”, e il perché è presto detto: con l’arrivo del V4 Granturismo il nuovo Ducati Diavel è a tutti gli effetti una hyper-naked mascherata. Ecco come va, cosa ci ha convinto e cosa meno

Iscriviti al nostro canale YouTube

Il Ducati Diavel, con l’articolo al maschile come piace a Borgo Panigale, è sempre stato uno strano oggetto: sin dal suo anno di debutto ha cercato di unire i principi di una sportiva, di una naked e di una cruiser in una sola moto. Un esperimento che se nel look non ha strappato, e continua a non strappare, consensi unanimi all’atto pratico è riuscito in pieno nella missione di creare un ibrido unico nel suo genere: un bisonte capace di danzare tra le curve (quasi) come una gazzella. Dodici anni dopo il debutto e due generazioni è ancora così: il Diavel raddoppia i cilindri ma perde peso, aumenta la cavalleria arrivando a cifre da supersportiva di qualche anno fa ma è ancora più facile da guidare, mantiene dimensioni da panzer ma allo stesso tempo rimane maestra assoluta nella quantomai complicata disciplina del “nascondere i chili.

Se volete sapere come è fatta e come cambia il Ducati Diavel V4 qui trovate il nostro articolo di presentazione, se invece siete curiosi di capire come va il cruiserone bolognese trovate pregi, difetti, particolarità e impressioni di guida nelle prossime righe e nella video-prova in copertina e sul nostro canale YouTube.

Ducati Diavel V4: il “Mega Monster” sotto mentite spoglie

La genesi e lo sviluppo del nuovo Diavel ha portato i collaudatori e gli ingegneri Ducati ad affibbiare un soprannome a dir poco particolare all’ultima novità di Borgo Panigale: Mega Monster. Un nome, come ci ha spiegato Alessandro Valia, che dice tutto: sin dalle prime fasi di test, infatti, il Diavel V4 ha mostrato come, con 13 kg in meno, due cilindri e una decina di cavalli in più e un telaio molto più “agile” potesse essere l’evoluzione anabolizzata della naked Ducati per antonomasia.

Velleità dinamiche che non hanno intaccato la silhouette, che cambia ma non viene snaturata, continuando a far convivere il paradosso di una moto tanto imponente nelle dimensioni quanto sorprendente a gas aperto. Un paradosso che ho avuto il piacere di provare in una delle strade più belle del mondo, la Jeleb Hafeet Mountain Road, la Pikes Peak araba. Più di 60 curve (di cui 21 tornanti) in poco più di 11 chilometri, con un dislivello di quasi 1300 metri: un parco giochi d’asfalto perfetto per capire se veramente il Diavel V4 è ancora, e ancor più di prima, il bisonte agile come una gazzella.

Ducati Diavel V4: diabolica evoluzione

L’effetto sorpresa il Diavel se lo è giocato tanto tempo fa, precisamente nel 2011: il suo debutto sul mercato ha infatti svelato al mondo che la parola cruiser non dovesse essere sinonimo di moto con scarse qualità dinamiche, dal comportamento tutto sommato pacioso e senza troppe mire prestazionali. Il Diavel di oggi però riesce nell’impresa di vincere per distacco il confronto con le generazioni precedenti grazie all’abbinamento, buono in tutte le salse di Borgo Panigale, del V4 con il Front Frame. Un’evoluzione sorprendente da un modello che si pensava potesse aver raggiunto il suo nirvana con la 1260 S e che invece torna più ignorante, divertente e adrenalinica che mai.

Il primo toccasana del nuovo Diavel sta nell’ergonomia: la sella a 790 mm da terra e il manubrio arretrato di 2 cm restituiscono molto bene l’idea di essere su una naked dalle forme insolite, e anche la guida diventa più intuitiva, il feeling con l’avantreno migliora e diventa più facile raggiungere i 41° di piega concessi dalla moto. Numeri a parte, tra le gambe i chili in meno si sentono eccome, a tutto vantaggio del piacere, e anche dopo aver percorso ben 6 volte la più che impegnativa Jeleb Hafeet Mountain Road, più di 120 km di curve in una mattinata, non ho accusato i dolori tipici di un’uscita allegra in moto

L’ingrediente principale però rimane il V4 Granturismo, che smentisce subito la malizia di chi, in fase di presentazione, si è affrettato ad etichettare il nuovo Diavel come “un’arma da sparo” e poco più. La doppia coppia di cilindri non solo compatta la moto nelle dimensioni, ma mette sul piatto 168 CV ben distribuiti ed educati, che però possono essere anche purosangue da rodeo: la differenza diventa palese provando i due riding mode a piena potenza, Touring e Sport. Nel primo la manopola del gas restituisce una risposta del motore vigorosa ma gentile, facendo così apprezzare la progressione del motore, passando alla Sport invece è la prepotenza del V4 a farla da padrona, con una risposta furiosa e immediata che permette di godersi il lavoro fatto su questo modello anche grazie a controlli più permissivi.

Capitolo a parte lo merita l’elettronica del Diavel V4: c’è lo state dell’arte Ducati, con tanto di Launch Control, ma a stupire è l’opera di sartoria fatta per far piegare, staccare e divertire una moto per cui vale la “regola del Calabrone”, che non potrebbe volare ma non lo sa e quindi vola. Ecco, il Diavel V4, con il suo gommone posteriore da 240 mm, l’interasse da oltre 1,5 metri e un’imponenza da mezzo bellico sfida letteralmente le leggi della fisica.

Il trucco del reparto R&D di Ducati è possibile grazie ad almeno un paio di elementi: l’albero controrotante in primis, che genera l’inerzia giusta per abbattere quella di ruote e cambio, aumentando di fatto la maneggevolezza della moto, una soluzione che sul nuovo Diavel cambia letteralmente il paradigma di guida. Il secondo elemento è sicuramente il pacchetto ciclistico: un power-cruiser con il doppio cerchio da 17” è cosa rara, ma una moto con il 240 posteriore che riesce a ottenere solo effetti positivi (leggasi estrema stabilità) e mascherare i limiti di un’impronta così importante è praticamente unica. E per questo la scelta delle componenti, con la forcella Marzocchi da 50 mm e il mono Sachs con escursione di 145 mm, e della calzata di primo equipaggiamento, con le Pirelli Diablo Rosso III che si confermano una garanzia, si è confermata vincente.

Il meglio lo si ottiene quando la guida è veloce ma comunque rotonda, perché la moto risponde armoniosamente ai cambi di direzione e una volta impostata la curva si può tenere aperto il gas, o al contrario tenere puntato il freno anteriore, sapendo che la ciclistica non tradirà la fiducia. Un certo gusto naturalmente lo dà anche la guida più arrabbiata, con la ricerca della staccata a ogni tornante, ma è naturale che così facendo si patisce un po’ di più la stazza del mezzo. In ogni caso, e contro ogni aspettativa, anche con dei bei piegoni grattare le pedane non è affatto scontato, a ulteriore riprova delle doti dinamiche del nuovo Diavel.

Particolarmente apprezzabile è anche la curva di coppia: con 126 Nm a disposizione sarebbe stato facile lasciarsi tentare dal canone tipico dei cruiser e prediligere un picco tendente alla metà del contagiri; invece, in Ducati sono stati fedeli al lavoro fatto per la Multistrada V4, e hanno ottenuto 2 Nm di più scendendo solo di 1.000 giri e poco più.

Convincono anche il cambio elettronico, preciso, morbido ma anche maschio al punto giusto, e l’impianto frenante firmato Brembo. La coppia di dischi da 330 mm anteriore è potente, ma si prendono subito le misure con la leva per evitare tentativi non cercati di stoppie e il posteriore è modulabile ma presente, con un comportamento praticamente impeccabile. Altro segnale che a Borgo Panigale, rispetto all’era dei freni delle leva da acciaccare con forza bruta, i tempi sono cambiati.

Diavel V4: cosa ci è piaciuto e cosa meno

Il nuovo Diavel gioca un tiro mancino a chi fa il mio mestiere: è stato praticamente impossibile trovare dei difetti durante i giri di giostra della Jebel Hafeet Road, ma su una strada con delle curve che sembrano disegnate dal Dio degli smanettoni e un asfalto con un grip da orgasmo una moto del genere dà il meglio di sé. I 27 gradi e il sole alto dell’altopiano arabo ci hanno fatto percepire, solo a tratti, un certo calore provenire dalla coppia di cilindri posteriori. Nulla di veramente fastidioso, ma soprattutto non un limite che per forza di cose gli acquirenti del Diavel dovranno patire nei tragitti casa-lavoro. L’ultima versione del V4 Granturismo infatti ha il sistema di disattivazione dei cilindri posteriori, che fa andare la moto “a 2” sotto i 50 km/h e sotto i 4.000 giri.

L’altra piccola pecca, tutta personale e solo estetica, è la cover dei cilindri (sempre posteriori) in plastica a forma di cilindro stesso. In una moto che spicca per il design (ho trovato incredibilmente azzeccato il trittico forcellone monobraccio - gommone da 240 – scarico a 4 terminali) avrei preferito qualcosa di più originale e magari in un altro materiale. D’altro canto le doti dinamiche, la cura dei dettagli e l’evoluzione del Diavel convincono al 100% e il fatto che questa moto sia riuscita a entrare nella “Rivoluzione Ducati” senza snaturarsi, ma anzi alzando la sua stessa asticella, è la prova della bontà di questo progetto.

In definitiva, il Diavel, che era già una bestia rara nel panorama motociclistico mondiale, è diventato un vero e proprio unicorno: unico nel suo genere. E se una moto così strappa sorrisi e endorfine anche su una delle strade più belle e sfidanti del mondo, non si può non promuovere a pieni voti l’intuizione di Ducati e la diabolica evoluzione di questo power-cruiser.

Ducati Diavel V4: quanto costa

Servono 26.390 euro per portarsi in garage il Ducati Diavel V4 in Ducati Red. Sono necessarie 300 euro in più se si sceglie la colorazione Thrilling Black. Un fiume di parole a parte meriterebbe il catalogo accessori dedicato al power-cruiser bolognese. C’è un po' di tutto, dalla customizzazione estetica agli accessori da viaggio, ma una menzione a parte lo merita lo scarico Racing (non omologato per l’uso in strada) che alleggerisce la moto di ben 11 kg e fa aumenta di 12 CV la potenza. L’ennesimo indizio che inchioda il Diavel V4 come colpevole di “eccesso premeditato di ignoranza”. Nell’accezione più positiva possibile, naturalmente.

Articoli che potrebbero interessarti