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Cambiamo le regole del motociclismo pensate solo per fare spettacolo

Moto sempre più  tutte eguali, piste sempre più sicure dove si invita all'errore con spazi 'verdi' asfaltati, campionati monomarca, monogomma, monosospensioni, monomotore per creare mucchio selvaggi, spettacolarizzazione che non insegna a guidare, piloti sempre più giovani e se non svetti subito, avanti un altro. Un motociclismo che deve cambiare

Cambiamo le regole del motociclismo pensate solo per fare spettacolo

Seguo le corse da 40 anni. I circuiti sono la mia casa, e lì che mi sono sempre sentito a mio agio. Eppure ogni volta che varco il cancello di una pista penso sempre ad Ulisse ed al Ciclope. All’antro dove il mostro può divorare chi vi entra.

Non vi è contraddizione in questo pensiero/incubo: il motociclismo è uno sport pericoloso e negli anni, a partire da quelli delle corse delle derivate di serie, passando per i primi anni del mondiale, ho perso parecchi amici: Tommaso Piccirilli, Sauro Pazzaglia, il primo mi mostrò le traiettorie a Vallelunga, con il secondo dividevo la roulotte nelle gare, nel senso che se capitava, mi ospitava.

Erano i tempi in cui Ezio Pirazzini, un collega dei vecchi tempi, uno di quelli che non guidava la moto, portava il foulard, ma aveva vissuto i tempi ancora più eroici del motociclismo mi diceva: “o smettiamo di correre o smettiamo di piangere”.

Aveva ragione, naturalmente, eppure se togliamo Michel Rougerie e Patrick Pons, morti in seguito ad investimento (e tragicamente uniti in questo destino), non ricordo molti altri casi di in incidenti fatali dovuti proprio all’investimento. Il caso di Reinhold Roth, a Rijeka, appartiene ad una fatalità diversa.

Si è vero, c’è stato Tomizawa a Misano, ma solo quest’anno abbiamo perso tre ragazzi delle cilindrate minori in incidenti troppo simili per essere una casualità, definita dall’amico Franco Uncini “drammi inevitabili”.

Franco, peraltro. Ha ragione, essendo lui stesso stato vittima di un fatto simile - era il 1983, ad Assen e fu Wayne Gardner a colpirlo - ma ne è uscito, miracolosamente, vivo.

Io non incolpo l’età, anche se non apprezzo completamente questo voler a tutti i costi accelerare l’accesso alle competizione. Campioni sempre più giovani non aggiungono nulla alla mia passione.

Il fatto è che oggi si fanno le regole più per aumentare lo spettacolo, che per altro. E questo spiega perché in ogni categoria, dalle derivate di serie alla MotoGP, tutte le classi hanno prestazioni spaventosamente simili.

Questo ovviamente fa da preludio a gare combattutissime durante le quali si formano lunghi serpentoni di piloti l’uno nella scia dell’altro. Tutti con il naso nel contagiri per un perdere un chilometro/ora di velocità massima, siano le moto spinte da monocilindrici da 50 cv che da quattro cilindri da 300.

Ovviamente più aumenta la velocità è più conta il talento, ma non è solo questo il problema. Il fatto è che oggi con i motori 4 Tempi i piccoli errori, di traiettoria, di utilizzo dei motori, non si paga più.

Ricordate le gare dei sibilanti 2 Tempi? Anche se c’era Schwantz, Rainey o lo stesso Uncini alla guida, sbagliare una traiettoria, una frenata, un ingresso in curva, comportava perdere il gruppo, oltre ad una manciata di secondi. Il motore, sotto coppia, non spingeva e ti ritrovavi indietro.

Con le piccole 50 o 80 cc o le 125 la guida pulita era un imperativo categorico: se sbagliavi, pagavi in termine di tempo. Oh, intendiamoci, c’erano i trenini anche allora, ma non di 40 vagoni!
Bannare i 2 Tempi è stato un errore imperdonabile: insegnavano a guidare. Io li reintrodurrei per i giovanissimi. Oltretutto costano anche meno dei 4 T e sono meno costanti nel rendimento. Forse adesso non frega più niente a nessuno, ma formavano anche i meccanici.

E poi c’è il peso. Oggi una SS300 sfiora i 160 Kg, e poiché le prestazioni sono quelle che sono, il gas non si chiude mai, tanto da lasciarmi sorpreso che ci siano così poche collisioni, fra i ‘vagoni’.

E con 40 piloti al via, è solo un mucchio selvaggio dal quale emerge chi ha talento sì, ma anche chi ha più fegato di infilarsi, carena contro carena, sui rettilinei. Tanto poi nelle curve l’amichevole motore 4 Tempi in qualche modo ti porta fuori, anche se entri lungo o fuori traiettoria.

E poi, inevitabile corollario delle regole pro-show a cui accennavo prima, le moto sono tutte uguali. Fateci caso: sta accadendo anche nella categoria più competitiva, la MotoGP. Anni fa, prima di meritarsi una moto ufficiale, dovevi arrivare fra i primi cinque del mondiale, e a volte non bastava neanche. C’era differenza di prestazioni fra la Suzuki ufficiale di Barry Sheene e quella comperata dal concessionario di Uncini.

E questa regola valeva in tutte le altre cilindrate perché le Yamaha 250 e 350 le comperavi dal concessionario e nella 50 e 125 parliamo di moto pressoché artigianali. Mentre i giovani (non ancora giovanissimi) si formavano alla scuola delle derivate di serie. Moto che quando andava bene avevano una novantina di cavalli.

Quindi è vero che gli incidenti sono inevitabili, ma è anche vero che non stiamo facendo nulla per evitare i più stupidi. Mesi fa parlavo con Emanuele Pirro, ex F.1, 5 volte vincitore a Le Mans, del famoso, o famigerato, spazio verde incappando nel quale, in uscita di curva, si rischia la sanzione.

Quello che mi dispiace, al di là del fatto che bisogna seguire le regole - mi diceva Pirro - è che questa nuova situazione via scapito della guida pulita”.

Già perché anni fa se sbagliavi una traiettoria finivi sui ‘dentoni’ dei cordoli alti e, se eri in auto, spaccavi il fondo, in moto dovevi togliere il gas…imparavi a guidare, imparavi che il gas non doveva essere sempre essere tutto aperto, tanto chissenefrega se vado largo! Col cavolo! Finivi nella ghiaia e se eri bravo rimanevi in piedi, altrimenti cadevi, ma la moto raramente rientrava in pista.

Queste novità, diciamocelo, sono state introdotte non per la sicurezza ma per lo spettacolo, come i pali snodati nello sci. E’ evidente che nello sport ci si adegua e si cambia a seconda delle opportunità: Tomba entrava in linea retta con la migliore traiettoria sul palo, il motociclista tiene sempre tutto aperto perché al massimo, che sarà mai, finisce sul verde.

E’ un modo sbagliato, questo, di affrontare le corse.

Basta creare campionati che sono dei monomarca con mezzi tutti uguali per eccellere nei quali bisogna imparare a correre in modo diverso. Prendiamo la Moto3: i rapporti di 5a e 6a vengono fatti, a seconda del circuito, in base alle scie, per sfruttare la maggiore velocità, quindi ci sono anche 35 Km/h di differenza fra una marcia e l’altra. Si corre per stare sempre attaccati al culo dell’avversario grazie alla scia. Cerchiamo di scrivere regole che premino i più bravi. E chissenefrega se invece di un lungo trenino, si formeranno quattro cinque gruppi di pochi piloti.

E investiamo più nella sicurezza. C’è voluto il genio di Lino Dainese, seguito a ruota dalla Alpinestars per darci tute con l’airbag. Non fermiamoci qui. E poi, se non vogliamo riprendere in mano totalmente il discorso età/partecipazione/mezzo, facciamo correre i più giovani non in gruppi selvaggi ma in batterie. Due partenze da 20 piloti, anche meno. Tre incidenti dalla stessa dinamica in sei mesi sono un campanello d’allarme che è follia ignorare o sottovalutare. Guardate la foto che illustra questo articolo e provate a contare i partenti. Non c'è nient'altro da aggiungere.

 

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