MotoGP, Spencer: 30 anni per fare pace con Roberts
"Il motivo un sorpasso ad Anderstorp grazie al quale vinsi il mondiale. Sogno un GP con tutti i grandi, del passato e del presente"
Scritto da GPone - Mer, 08/04/2020 - 10:45
Oggi Sky (canale 208) dedicherà una giornata ad un iconico pilota americana: Freddie Spencer (iridato della 500 1983-1985 e 250 1985 con Honda).
Vi riproponiamo questa lunga chiacchierata con 'Fast' Freddie del nostro Paolo Scalera, che ha cantato le sue gesta sul Corsport iniziando una lunga amicizia iniziata a Zolder nel 1980, che prosegue tuttora. Buona lettura.
Il Corriere dello Sport ha pubblicato giovedì scorso questa chiacchierata del nostro Paolo Scalera con Freddie Spencer. Non una intervista, bensì un lungo dialogo fra uno dei protagonisti del decennio di dominio americano nel motomondiale ed un testimone di quegli anni fantastici. Durante i quali i piloti erano piloti, non facevano i piloti. Ed i giornalisti, perlomeno alcuni, solo amici che non andavano abbastanza forte in moto per essere lì con loro.
Complessivamente vinse 27 Gran Premi, partì 33 volte in pole e salì sul podio 39 volte. Fu un grande innovatore nello stile di guida. Invece di percorrere traiettorie rotonde, spezzava le curve per poter alzare presto la moto ed accelerare il prima possibile. Si pilota così ancor oggi.
E' venuto a Roma come testimonial di MotoDays. L'ultima volta mi aveva chiesto di vedere il Colosseo. Era il 1985 e mi rubarono il portafogli. Questa volta per chiacchierare dei vecchi tempi abbiamo scelto 'Orto' un ristorante in Prati. E' diventato vegano assieme alla sua compagna, la bella Alexandra.
"Sarebbe bella una gara con tutti i migliori, di ogni generazione. Immaginiamola: Agostini, Hailwood, Read, io, Doohan, Rainey, Schwantz, Lawson, Roberts, Rossi. Purtroppo è solo un sogno. Chi vincerebbe? Non lo sapremo mai, ed è sterile pensarci. Ogni campione va inquadrato nel suo tempo. Non c'è il campione assoluto".
Però ogni campione pensa di esserlo.
"In pochi lo sanno, ma ho combattuto per l'intera mia carriera con la miopia. Oggi ho fatto l'operazione con il laser, ma allora portavo le lenti a contatto. Erano le prime, semirigide. Si spostavano, mi facevano lacrimare gli occhi, per un pilota è importante avere sempre una visione perfetta e a fuoco. Io non l'avevo, ma credo a che a causa di ciò io abbia sviluppato gli altri sensi in modo particolare. Sentivo ogni più piccolo movimento della moto. Però magari senza la miopia avrei fatto meglio, vinto di più".
Tu e gli altri americani avete vinto abbastanza: dal 1978 al 1994 avete dominato il mondiale.
"Sì, c'è stato un periodo così.Oggi negli USA non ci sono più piloti perché si corre poco e senza il numero non escono campioni. La Spagna ne ha perché ha lavorato sui vivai. Anche l'Italia, grazie a Rossi ed al suo Ranch, ha ottenuto grandi risultati".
Come Valentino hai avuto grandi rivalità, Roberts, Lawson.
"Senza entrare nel merito di ciò che è accaduto fra Rossi e Marquez nel 2015 credo che Valentino abbia sbagliato ad attaccarlo. Marc è uno aggressivo e si è risentito. Capitò anche a me con Kenny Roberts: quando lui mi aggrediva io mi sentivo ancora più stimolato a batterlo".
Poi viene un momento in cui si decide di fermarsi. Perché?
"Durante la nostra carriera noi piloti viviamo come in una bolla. Niente ci sembra più importante che gareggiare e vincere. Ma ovviamente non è così. Arriva un momento in cui si rende conto che la vita è altro. Per questo comprendo pienamente la decisione di ritirarsi di Casey Stoner".
Per proseguire c'è bisogno di una determinazione pazzesca.
"Non bisogna pensare ad altro. Gli appassionati si ricordano di me soprattutto per il doppio titolo, 250-500, del 1985. Presi la decisione di accettare quella sfida a fine 1984, al termine di una stagione in cui fui battuto da Lawson. La quarto di litro fu costruita solo per me da Satoru Horike. Mi calzava come un guanto. La mezzo litro, invece, era molto più difficile da guidare, ma niente in confronto a quella dell'anno prima che aveva il serbatoio sotto il motore e gli scarichi alti. Mi ustionavano gli avambracci, il motore perdeva potenza a causa del calore vicino ai carburatori. In Germania non ce la feci più e chiesi alla Honda di ridarmi la vecchia 500 tre cilindri. Problema: non c'era più perché la vecchia era stata affidata a Randy Mamola. Mi rifiutai di toglierla a Randy, un quattro volte vicecampione del mondo, così utilizzai un vecchio telaio di Lucchinelli del 1983 con un vecchio motore. Erv Kanemoto mi disse: puoi fare solo 6 giri in un turno e 6 giri in un altro, altrimenti rompiano. Partii in pole e vinsi la gara".
Eri un innovatore. Honda e Michelin pendevano dalle tue labbra.
Eri un gran staccatore.
Una leggenda che parla di altre leggende. Fantastico.
"Ma ne devo evo smentire alcune su di me: si diceva che nel 1985, fra la gara della 250 e quella della 500 respirassi da una bombola di ossigeno per recuperare fisicamente più velocemente. Sarebbe stata una cosa intelligente da fare, ma non è vero".
Però ti spostavi nella 'morte nera'.
"(risata) Quello era il nome che voi giornalisti avevate dato al mio motor home nero e con i vetri oscurati".
Dai, in Giappone era trattato come un semidio.
"Quando vinsi entrambi i titoli Soichiro Honda in persona mi invitò a casa sua a pranzo. Quando entrai vidi un giardiniere che con un tubo di gomma innaffiava i fiori. Si voltò: era lui. Ci sedemmo a tavola e arrivò una portata di Sushi. Io non mangio pesce. Mi sentii imbarazzatissimo. Non sapevo cosa fare. Mr. Honda mi guardava. Poi ad un certo punto si fece una risata e mi portarono un hamburger. Mi aveva preso in giro. Quello e la vittoria che gli dedicai a Jarama, in Spagna, rimane il mio ricordo più bello. Salì sul podio con me, mi mise le mani attorno alle spalle e mi disse: grazie di avermi regalato un sogno. In realtà era stato lui a regalarlo a me. Fu l'unica gara a cui assistette".